O come mai questo blog??

Dal 2011 mi sono dato all'escursionismo, un modo alla fin fine più semplice e diretto per stare a contatto con la natura. Del resto, come potete vedere qui a fianco, già da piccolo ero un in-tenditore in materia..eheh. Certo, c'è (o c'era, visto che ormai da più di un anno non la pratico più..) anche la pesca, come per qualcun altro può esserci la caccia, o la raccolta funghi ecc., ma quasi tutte in comune hanno secondo me un grosso limite: il fatto di considerare la natura come un "veicolo" per il raggiungimento di un certo grado di soddisfazione, e non essa stessa il fine. In un certo senso, è come se debba esserci sempre un profitto finale. Le escursioni invece non sono nient'altro che il sano desiderio di passare un po' di tempo immersi nella nostra natura, osservarla, e basta.

venerdì 19 dicembre 2014

Il Fiume Farma e il Monte Quoio



Lunghezza = 19,5 Km
Dislivello + = 850mt
Dislivello - = 850mt

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Il Percorso

Questa bella escursione di alto valore naturalistico attraversa varie ambientazioni, immersi nella Riserva naturale Farma: partendo dal pianoro del Castello del Belagaio (raggiungibile dopo un lungo tratto di strada forestale che imbocchiamo su un bivio a destra della SS73 in direzione Siena, poco prima della località Piloni), alterneremo ai bellissimi boschi incontaminati nella gola del fiume Farma dalle acque pure e cristalline, luoghi ricchi di un passato medievale dove fiorivano ferriere e mulini, all’arido e acido suolo che, fra pini e lecci, ci introduce nei rilievi a nord della gola, che culminano con la salita al Monte Quoio (mt640), l’altura più elevata di Monticiano, dove durante le Resistenza si combatterono feroci battaglie culminato nell’Eccidio di Scalvaia dell’11 Marzo 1944. Scenderemo quindi nuovamente sul Farma nelle bellissime cascatelle dei Canaloni, e faremo rientro al Belagaio risalendo il lungo pendio nordoccidentale del Poggio le Macine, dove visiteremo anche un’emergenza naturalistica della Provincia di Grosseto, volta a preservare un nucleo di Betulle autoctone.
L’itinerario, per tutto il tratto che si trova nel versante destro del fiume, ricalca quanto descritto nell’ottima guida “Camminare nella Maremma Toscana”, dove quindi rimando per un’approfondimento. La traccia GPS che potete scaricare è comunque molto affidabile. La salita al Monte Quoio si svolge tutta su carrarecce o cesse tagliafuoco e non presenta particolari difficoltà nell’orientamento, così come la successiva ridiscesa nel fiume. Da qui proseguiremo su sentiero segnato della Comunità Montana, fin dopo il guado; successivamente saremo nuovamente allineati con quanto indicato nella sopracitata guida, per tutto il tratto finale dell’escursione.

Il Racconto [14-05-2014]

E’ una bella mattinata primaverile, quella che vede il Mago avventurarsi lungo le lussureggianti rive del Fiume Farma. Nella guida “Camminare nella Maremma Toscana” avevo già letto un ottimo itinerario, tuttavia il desiderio mio era quello di far combaciare la cosa con la salita al Monte Quoio, che troppo spesso, da altri monti, l’avevo osservato con quella sua spiccata forma piramidale del suo versante meridionale fortemente a strapiombo. Il mix che ne ho ricavato tutto sommato è davvero una bella escursione, anche perche permette di passare dai bellissimi Canaloni del Farma, dove già passammo una notte ai tempi del mitico Roccatrek.

Arrivo molto presto a Casa Nuova, dove si trova il Centro visite della Riserva, sono passate da poco le 6.30. La vista del Castello del Belagaio, con alle spalle la cima del Monte Quoio, è molto stimolante. In mezzo, la lunga distesa di campi dove nutriti gruppetti di cavalli già pascolano tranquilli. Più appartati, al limite del bosco, le sagome di alcuni cinghiali che si intrufolano volentieri brucando qualche radice.
Il Castello del Belagaio
 
Saluto un ciuchino chiuso nel suo recinto e mi incammino nell’aria frizzante del primo mattino. La descrizione del sentiero da percorrere inizialmente ricalca la guida ed è molto facile seguirne le indicazioni, anche quando le tracce del sentiero sono molto labili. All’inizio si cammina su traccia libera in mezzo ad uno sfasciume di pini per poi raggiungere uno spiazzo da dove, in direzione nord alla mia destra, comincia un sentierino un po’ sconnesso, molto acciottolato, e moderatamente invaso dalle piante. Tuttavia i continui resti di alcuni muretti a secco già ci immergono in un lontano passato, dove questo sentiero era evidentemente molto trafficato. Alcuni caprioli ad intervalli quasi regolari scappano via veloci, ce ne devono essere molti qui intorno. Scendo di quota fino ai 365mt d’altitudine circa, e in corrispondenza di uno spiazzo, sulla sinistra si dirama un sentierino non molto visibile all’inizio ed in forte discesa: è la via per raggiungere l’ingresso della Grotta “La Tomba”.
L'ingresso della Grotta "La Tomba"
In prossimità dell’ingresso c’è un cancellino in metallo posto dalla Federazione Speleologica ma che, volendo, è facilmente rimovibile; non sono certo questi i miei intenti, a me basta solo scattare qualche foto e, in occasione di qualche scatto a caso dal buco dell’ingresso, becco anche un pipistrello in volo!
Beccato il pipistrello!!
Con la speranza di non averlo troppo accecato, risalgo velocemente e rientro nel mio sentierino che in breve si allarga mostrando ancor di più il suo antico selciato. Anche il bosco ora si mostra più generoso lasciando ampia visuale in modo da apprezzarne ancor di più la natura isolata e selvaggia. La presenza importante che in passato l’uomo ha posto un questo luogo, ritorna tangibile quando, in mezzo ai cerri avvolti dalle vitalbe, sbuca il rudere della Casetta. Se solo potessi avere la macchina del tempo…
L'antico selciato del sentiero

 
Supero la casetta e mi dirigo verso nord puntando verso il fiume. Un sentiero molto allargato finisce per immettersi in un altro bel sentiero, questo segnato di biancorosso, ma un po abbandonato a se stesso. La mia traccia proseguirebbe verso est, ma prima decido di fare una deviazione in senso opposto raggiungendo un fosso che va a sfociare nel Farma in corrispondenza del greto di un’acciottolata spiaggetta dove il fiume crea una profonda ansa sormontata da una parete rocciosa.
Raggiungo il Farma in quest'ansa
Così tranquillo e misterioso, ancora non illuminato dal sole, questo luogo è facile immaginarselo invece d’estate pieno di bagnanti in cerca di refrigerio in queste fresche acque. Ritorno sui miei passi e comincio a costeggiare da molto vicino le sponde di questo magnifico fiume, camminando in questo sentiero spesso fra erba ancora punterellata dalla rugiada notturna.
 
Alcuni passaggi sul sentiero che costeggia il versante destro del Farma
 
I segni biancorossi aiutano molto nel prosieguo, specie quando ci si allontana un po’ dal fiume per via del pendio impervio, e si risale leggermente fra alberi caduti. In queste zone era fiorente l’attività medievale delle ferriere, e capita molto spesso di trovare cumuli di sassi o resti di muretti a secco che non lasciano dubbi sulla presenza di qualche antico manufatto.
Si trovano spesso resti come questi lungo il sentiero
Risceso sul fiume, mi butto volentieri su un largo greto per meglio respirare l’atmosfera che crea il corso d’acqua, ed ecco che mi trovo davanti uno sbalorditivo spettacolo della potenza della natura: sui resti di un’antica diga (o mulino) si trovano incastonati a tre, quattro metri d’altezza rispetto all’attuale livello dell’acqua, alcuni tronchi d’albero davvero impressionanti, resti tangibili di passate piene del fiume e che testimoniano così la forza devastante dell’acqua.
Vi assicuro che la foto non rende! Quel tronco è enorme!
Arrivo finalmente ai Palazzoni, dove l’omonimo fosso si getta nel fiume, ed è proprio dove io devo guadarlo. L’acqua non è che sia molto bassa, e forse sarebbe meglio mi levassi le scarpe, invece ci provo lo stesso e il risultato è che, appena guadatolo, approfitto della pausa caffè per cambiarmi le calze e far asciugare un po le scarpe… Nel greto ora irradiato dal sole mattutino, alcuni giovani cavedanelli e barbi si rincorrono a vicenda, scappando sotto le fronde dei rami che si calano verso le acque: è davvero un posto magnifico!
Il Farma al guado dei Palazzoni
MagoZichele in pausa
Riparto, per nulla dispiaciuto dall’aver fatto la sosta sui ciottoli del greto anziché sui tavoli dell’area attrezzata dei Palazzoni, ma subito mi rifermo: sono molto vicino alla zona dove dovrebbero esserci i resti medievali del Mulino del Tifo. Un nome abbastanza insolito che probabilmente cela qualche aneddoto storico. Il posto in realtà è celato alla vista da una folta siepe di rovi e carcavelli, ma con il machete è facile aprirsi un piccolo pertugio per passare oltre. Del mulino rimangono davvero poche cose, forse un’adeguata opera di scavo potrebbe rendere più onore a questo sito, perche si riesce a scorgere solo qualcosa che assomiglia ad una vasca/cisterna, e qualche pietra sapientemente lavorata per incanalare il corso d’acqua che asserviva il mulino.
Particolare dei ruderi del Mulino del Tifo
Da qui in avanti comincia la lunga salita che dal fiume si stacca verso nord per risalire le estreme pendici orientali del Monte Quoio. Può apparire come una monotona via su strade carrarecce, tuttavia non manca di rifarsi gli occhi, lungo il percorso. Quando una grossa distesa di felci, quando una ripidissima cessa tagliafuoco, ed ecco che in poco tempo mi trovo già su un largo altipiano che anticipa la cuspide finale del Monte Quoio.
Lungo la salita al Monte Quoio: un'arida pineta, una distesa di felci, una cessa molto ripida
 
Il pezzo di salita finale addirittura è anche asfaltato, presumo per agevolare la salita dei mezzi visto che sulla vetta si trova un grosso complesso di ripetitori radio, visibile distintamente anche da lunga distanza tanto che spesso la gente pensa si tratti di un castello. Al suo fianco, un piccolo stradellino che ne aggira le recinzioni passando vicino a dei vecchi ruderi forse di epoca medievale, per poi raggiungere la vetta vera e propria da dove un po’ di panorama è possibile, verso i rilievi del Monte Alto e del Sassoforte, e i centri abitati di Torniella e Roccastrada. Verso est, più lontano, ben si distingue Boccheggiano e soprattutto la tondeggiante sagoma dei miei amati Poggi di Prata. Tutto qua! La vetta del Monte Quoio, complice la presenza di molti alberi tutto intorno, non offre molto di più.
Anche il Monte Quoio è conquistato!!
Da sinistra: il Monte Alto e il Sassoforte; in basso a destra, Torniella
I Poggi di Prata; in primo piano a sx, Poggio di Cusa (Boccheggiano)
Decido di scendere lungo il roccioso crinaletto occidentale, dove sembra ci sia una traccia di sentiero, e qui il panorama è decisamente migliore in quanto si apre alla vista anche il Poggio di Montieri con l’omonimo paese, che normalmente è ben protetto alla vista, proprio dal versante nordest del suo poggio, ma da questa prospettiva è messo completamente a nudo!
Il Poggio di Montieri e in basso a destra, Montieri
 
Esco dal crinale e rientro nelle larga strada forestale di Scalvaia, che percorro proprio in direzione del centra abitato, non prima di aver incrociato un enorme capanno dei cacciatori, qui chiamato “La Vadina di Memmo”. Uno spazio attrezzato di tutto punto, davvero i miei complimenti per i cacciatori che l’hanno messo in piedi e mantenuto in così perfetto stato. Sarebbe l’ideale fermarcisi a far pranzo, ma sono ancora le 11.30 e l’idea che ho in testa, ovviamente, è di far pranzo ai Canaloni del Farma. Mancano ancora 3,5km circa e quindi dovrei arrivarci in perfetto orario.
L'aia della "Vadina di Memmo"
Di certo è facile mantenere un buon passo visto che siamo su strada bianca, e questo permette di recuperare un po’ la media oraria, visto che i tratti di percorso iniziali e finali, quelli all’interno della Riserva Naturale Farma per intendersi, sono invece su terreno più sconnesso o insidioso. Mi trovo a Croce a Consoli, dove a intervalli più o meno regolari, importanti vie si diramano verso sud nella gola del Farma, quindi presto bene attenzione a prendere quella giusta che dovrebbe portarmi proprio lungo il fiume, subito prima dei Canaloni. Il tratto finale è in forte discesa su una bella lastricata di pietre, quindi eccomi nuovamente ricalcare il bel sentiero che già percorremmo due anni fa, fatto di piccoli saliscendi contornati da rocce ricoperte di muschio.
Discesa verso il Farma, e sentierino per i Canaloni
 
Alle 12.30 in punto arrivo nell’assolata pietraia dei Canaloni: la portata del fiume è molto buona e il colpo d’occhio sulle cascatelle è bellissimo.

L’acqua, poi, al sole centrale della giornata, prende un colore verde intenso molto suggestivo. Scendo un po’ a valle e mi piazzo all’ombra proprio di fianco all’ultima cascata che forma una bella piscina naturale, per godermi il pranzo in uno scenario da urlo.

Il mio tavolo prenotato per il pranzo ai Canaloni!
Riparto dopo circa un’ora costeggiando il fianco sinistro del fiume, fra carpini, aceri e ornelli, fino ai resti della diga medievale che asserviva la successiva ferriera. L’invaso d’acqua che qui forma il fiume è meraviglioso e una volta di più testimonia la bellezza di queste acque. Proseguo e arrivo nella radura dove si trovano i ruderi della più grande e principale ferriera del Farma, quindi è la volta di guadare di nuovo il fiume.
I ruderi della Ferriera
Anche stavolta non è facile trovare il punto giusto e devo fare un po’ d’acrobazie per non rischiare di inzupparmi di nuovo i piedi. Il sentiero per un po’ è ancora segnato, poi me ne discosterò per seguire le indicazioni della guida. Sono praticamente nello stesso sentiero dove due anni fa c’eravamo persi, solo che allora non avevamo la certezza che anche da questa via avremmo potuto raggiungere comunque il Belagaio. Invece adesso proseguo sicuro, salendo ripidamente su un terreno un po’ sconnesso e poco frequentato, alternato ogni tanto da delle grosse carbonaie. Dai castagni, che si trovano nelle zone più basse ed esposte a nord, via via si passa alle scope e i corbezzoli piu tipiche della macchia mediterranea.
In mezzo alla lecceta, risalendo verso il Poggio le Macine
Stando bene attento alle indicazioni della guida, lascio il sentiero principale per una traccia di sentiero poco visibile ma intuibile per via delle continue paline di legno che delimitano i confini della Riserva Naturale, rendendo quindi anche divertente il prosieguo e l’orientamento. Superato un fosso, va risalito un pendio su traccia libera fino a raggiungere una strada forestale, e da qui, in direzione Est, raggiungo facilmente un incrocio di strade dove si trova l’ingresso di un’area recintata a protezione di alcune rare Betulle autoctone. Bisogna addentrarsi un po’ superando un paio di ponticini in legno, per raggiungere questi alberi (consiglio di mantenersi sulla destra). L’intento della Provincia di Grosseto qui è stato esemplare, peccato che nonostante tutto, non è che preoccupi tanto l’abbandono della zona, quanto l’abbandono vero e proprio delle betulle, visto che per terra ne giacciono diversi esemplari. Quelle che ancora resistono, però sono bellissime: maestose e possenti, si staccano davvero da tutto quanto le circonda, sia per dimensioni con la loro altezza, sia per colori con la loro corteccia biancastra.
Due bellissimi esemplari di Betulle
 
Saluto le betulle e rientro nel mio sentiero, che costeggia per un lungo tratto una recinzione passando in mezzo alla macchia mediterranea, per poi passare in mezzo ad una sella fra il Poggio Le Macine e il Poggio La Lite, piuttosto infrascati dalle recenti tagliate. Infine, rientrando in una lecceta con degli enormi esemplari, rientro facilmente nella carrareccia dove passa il sentiero segnato che in breve mi riporta in vista della radura del Belagaio.
Lungo la sella fra i poggi
Raggiunto l’Imposto, seguo per poche centinaia di metri la strada sterrata fino a tornare al Centro visite della Riserva, dove alcuni vivaci cavalli salutano il mio arrivo correndo alla staccionata. Davvero una bella escursione, con innumerevoli cambi d’ambientazione, e alcuni spunti naturalistici e storici davvero interessanti, che consiglio veramente a tutti!!
- MagoZichele -


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